di DAVIDE AMERIO
Ogni anno si riunisce il club Bilderberg, il gruppo di “esperti” che comprende leader politici, esperti dell'industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media. Ogni anno in una nuova località “segreta”, che poi così segreta non è; ogni anno con personaggi italiani misteriosi, ma di cui alla fine si conoscono nomi e cognomi.
Per l’edizione 2024 il Menù italiano per il Bilderberg prevede: Marco Alverà (Co-Founder di zhero.net), Lorenzo Bini Smaghi di Societé Générale, Michele Della Vigna di Goldman Sachs, lo scrittore e politologo Giuliano da Empoli, la giornalista e conduttrice di Otto e mezzo Lilli Gruber, e l'ex premier e senatore a vita Mario Monti [fonte IlTempo.it].
Secondo le comunicazioni ufficiali l’incontro prevede di trattare temi oggetto del prossimo futuro: lo stato dell'Intelligenza artificiale, la sicurezza nell'IA, i progressi nella biologia, il clima, le tensioni geopolitiche e le guerre, le sfide economiche dell'Occidente e il panorama politico degli Stati Uniti, Cina, Russia e Medio Oriente. Insomma lo stato del mondo nel suo complesso e i possibili scenari.
Il club esclusivo vanta la pretesa di modificare le sorti del mondo, e le decisioni su chi comanderà il pianeta. Non pochi libri sono stati scritti sulle trame tessute al suo interno, e sulle implicazioni delle influenze nelle politiche dei paesi: per quel che ci riguarda è sufficiente pensare al ruolo svolto da Mario Monti.
Le teorie si sprecano: similmente a tutte quelle trame che disegnano complotti nazionali e internazionali tra banchieri, corporation, politici, nonché massoneria (spesso non distinguendo tra i diversi tipi di massoneria esistenti), e le complicità con la criminalità organizzata, che certo gioca un suo ruolo con le masse di denaro di cui oramai dispone, paragonabili a quote di PIL di intere nazioni.
Come tutti i fenomeni che si ripetono, anche questo rischia di diventare “banale”, routinario, a cui alla fine ci si abitua, nonostante i mugugni, e la quantità di denunce sui social. Perché, alla fine, dobbiamo avere il coraggio di prenderne atto: ce la cantiamo e ce la suoniamo, come suol dirsi, mentre il potere di costoro non viene scalfito di un millimetro.
Esiste dunque un rimedio? Un contro mossa? Una soluzione?
Scartiamo l’ipotesi di un atto di forza che apparirebbe, agli occhi dei più, poco democratico, soprattutto a coloro che, tra un grande fratello, un’isola dei famosi, uomini e donne, e altre trasmissioni per dementi, non sanno nemmeno cosa sia il Bilderberg. Se i TG gli raccontassero che è un club bocciofilo internazionale state certi che troverebbero qualcuno pronto a crederci.
Il vero punto della questione è questo: costoro sanno benissimo che cosa fanno, quali sono i loro obbiettivi, e i loro scopi. Sono portatori di una filosofia ben precisa che spazia dal neoliberismo capitalistico iperfinanziario al darwinismo sociale. Ma gli altri, quelli che non vogliono essere comandati e condizionati da costoro cosa vogliono? A quale alternativa politica, economica, si ispirano? Quale progetto intendono perseguire? Quale tipo di società immaginano? Con quali valori?
Negli ultimi anni, da quando soprattutto è diventato chiarissimo, per chi non ha occhi foderati, il ruolo e la responsabilità di questo modello di Unione Europea nell’aver creato disparità, austerity, e sofferenze, (avendo sposato il neoliberismo in toto), è un fiorire di presunte iniziative “popolari”, “dal basso”, dedite alla rivendicazione della “sovranità”, dell’indipendenza, del distacco dalla UE e dalla moneta unica.
Ma abbiamo chiuso il XX secolo gettando alle ortiche le ideologie: compiendo il tragico gesto dell’affrettato che getta, come suol dirsi, “il bambino con l’acqua sporca”. Abbiamo confuso le idee con i partiti (e i loro leader) che le rappresentavano, non distinguendo ciò che andava preservato (le idee) da quello che andava rivisto e corretto (i partiti).
Risultato: un nascere continuo di formazioni improvvisate, di raggruppamenti impossibili, di leader egocentrici e auto referenziati, senza una costruzione ideologica elaborata che tracci un percorso tra il qui e adesso, e un orizzonte futuro a cui tendere.
Il neoliberismo capitalista, di fronte alla mole di problemi che genera, ha sempre una risposta pronta e univoca (che ripete ogni volta come un mantra): nel breve periodo ci saranno sofferenze… ma sul lungo periodo le cose andranno meglio! (incominciano già a spandere questo verbo per prepararci ai disastri dell’Intelligenza Artificiale).
L’unico che seppe mettere in luce l’ipocrisia di questo mantra fu J. M. Keynes, con la sua celebre affermazione: “sul lungo periodo… siamo tutti morti!”. Questa dichiarazione può essere letta con un duplice significato. Nel primo, come evento temporale: quanto dura il lungo periodo? Chi lo definisce? E… saremo davvero ancora vivi allora? (perché oggi potrei avere un’età che non mi permetterà di vedere i miglioramenti, ma solo di subire oggi le sofferenze).
Il secondo significato segue il primo: la mia vita è ora! È adesso che sto subendo la sofferenza di problemi economici che il sistema (neoliberista capitalista) ha creato; oggi devo mangiare, pagare il mutuo, l’affitto, gli studi per i figli; oggi mi devo curare se sono ammalato; oggi ho bisogno di lavorare per avere un reddito e una dignità.
La filosofia di Keynes, come bene ha spiegato Federico Caffè, suo preciso studioso e illuminato economista, aveva ben in chiaro i limiti del sistema capitalistico, nonché ciò che avrebbe provocato senza le briglie dell’intervento pubblico. Secondo il paradigma neoclassico (liberista) i mercati si autoregolano e, dunque, l’economia deve essere lasciata a se stessa, con la minor interferenza possibile da parte dei governi. La “piena occupazione” si ottiene automaticamente, purché i lavoratori siano estremamente flessibili nelle richieste salariali. Ci hanno convinto che il “lavoro” non è che una merce come un’altra: difatti parliamo di “mercato del lavoro” come parleremmo del “mercato delle vacche”.
Per Keynes invece il capitalismo è intrinsecamente instabile e strutturalmente incapace di assicurare la piena occupazione. Il “Laissez faire” tende inevitabilmente a generare crisi finanziarie ed economiche. Quelle crisi che la narrazione corrente ci definisce come inevitabili e normali, e che però abbisognano sempre dello Stato per metterci una pezza.
F. Caffè e Keynes vedevano invece lo Stato, e la sua funzione pubblica, come arbitro e pianificatore dell’economia. Non si tratta di una pianificazione in stile sovietico, ovviamente, ma di un intervento anti ciclico necessario per far procedere l’economia con la piena occupazione (e mantenerla).
Nel corso del tempo la teoria keynesiana è stata incamerata e imbastardita attraverso il neokeynesismo, secondo l’economista J. Robinson. La visione di Keynes era una visione di modifica dell’intero quadro economico verso un modello di società che tenesse insieme i principi liberali, e del libero mercato, con una visione “socialista”, ovvero comunitaria della collettività, con attenzione alle persone, alla loro vita, e al lavoro, alla distribuzione del reddito, piuttosto che all’accumulo di ricchezza del solo Capitale.
La mancanza del lavoro è una mancanza di dignità delle persone. Per dirla con W. Mosler: “la disoccupazione è un crimine!”. Ma per attuare questa visione occorre tornare al ruolo centrale del Pubblico, tornare a “governare l’economia” e non lasciarla in mano ai mercati.
Come ricorda l’economista Clara Mattei: “la fiducia nei mercati è inversamente proporzionale al benessere dei cittadini e rispecchia la logica della coercizione economica”.
E ancora Clara Mattei: “È ora di denunciare il ruolo devastante del sapere economico quando è utilizzato per abbindolarci. È ora di smascherare quanto la supposta scientificità degli economisti sia spesso un’arma per perpetuare una lotta di classe nella quale a vincere è la minoranza ricca del paese e a soccombere è la maggioranza dei cittadini”.
“In Italia se si considera il periodo tra il 1990 e il 2020, i salari medi sono diminuiti del 2,9%. In più l’inflazione ha eroso il potere di acquisto dei lavoratori di circa il 15%. Il 12% dei lavoratori è povero, e il 30% a rischio povertà a causa dei salari che non superano i mille euro al mese” scrive l’economista Pasquale Tridico.
Osservava Federico Caffè:
“Le decisioni economiche rilevanti non sono il risultato dell’azione non concordata delle innumerevoli unità economiche operanti sul mercato ma del consapevole operato di ristretti gruppi strategici in grado di limitare l’offerta e di influire sulla domanda, orientandola a loro piacimento; il mercato è altrettanto onesto nel riflettere le decisioni dei singoli quanto può esserlo una votazione in cui alcuni elettori abbiano una sola scheda ed altri ne abbiamo più d’una”.
Proprio Federico Caffè, che aveva partecipato alla Commissione dei 75 per i preparativi della Costituzione Italiana, aveva in chiaro come questa sarebbe stata l’espressione più vicina al pensiero “liberal socialista” formulato da Keynes, per costruire una reale alternativa al sistema capitalista interamente basato sul Mercato incontrollato, con lo Stato messo ai margini dalla visione neoclassica:
“Così, oggi, ci si trastulla nominalisticamente nella ricerca di un «nuovo modello di sviluppo». E si continua ad ignorare che esso, nelle ispirazioni ideali, è racchiuso nella Costituzione; nelle condizioni tecniche, è illustrato, nell’insieme degli studi della Commissione economica per la Costituente.”
Abbiamo tutti i dati a disposizione per smascherare la narrazione farlocca che cerca di imbonirci ogni giorno per farci credere che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Allora c’è qualcosa che manca, che non riusciamo a mettere insieme per contrastare, davvero, i vari club Bilderberg dei ricchi e super ricchi, di quel 1% che detiene il 90% delle ricchezze del pianeta.
Quel qualcosa è un progetto politico che assuma il ruolo ideologico di una visione diversa dalla stagnazione attuale. Pochi ancora paiono consapevoli che la sinistra storica (quella confluita nel PD) ha abbandonato da tempo la battaglia per un mutamento reale della società, del sistema economico, che era la sua naturale prerogativa. Oggi la sinistra tende ad occuparsi più del “politicamente corretto”, dell’emarginazione di gruppi (anche se questa non è una missione sbagliata), avendo sposato purtroppo l’idea di un “necessario” liberismo turbocapitalista e globalista (Unione Europea in testa).
Senza il ritorno a una progetto alternativo, che offra una visione diversa agli elettori, potremo discutere, allarmati e preoccupati, dei vari gruppi di potere sino alla fine del millennio. Loro hanno un progetto. “Noi” non lo abbiamo e fatichiamo a metterlo insieme perdendoci in giochi complottari, dichiarazioni catastrofiche, esclusione gli uni degli altri, personalismi improduttivi e illogici.
Se non si spezza questa catena circolare in cui siamo imbrigliati, “loro”, i vari Bilderberg, non avranno mai nulla da temere realmente.
Fonti minime:
Pasquale Tridico – Governare l’economia – ed. Lit EdizioniThomas Fazi – Una civiltà possibile. La lezione dimenticata di Federico Caffè – ed. Meltemi Visioni EreticheClara E. Mattei – L’economia è politica – ed. Fuori ScenaFederico Caffè – Contro gli incappucciati della finanza – ed. CastelvecchiJ. M. Keynes – L’Assurdità dei sacrifici – ed. SìStephanie Kelton – Il Mito del deficit – ed. Fazi editore