di Daniela Giuffrida
La terra trema in Sicilia e lo fa nei pressi di quella zona che tanti luminari della scienza e della tecnica, italiani e statunitensi, si affannano in questi giorni a dimostrare non sia sismica, inventandosi una “anti-sismicità” (dei luoghi e delle installazioni satellitari), inesistente, mai certificata e indimostrabile, oggi più che mai, alla luce degli eventi degli ultimi giorni.
Lo scorso 6 Febbraio, alle 8:45, un terremoto di magnitudo 2.7 mette in agitazione la popolazione di Niscemi, l’epicentro si trova a 31 Km di profondità e proprio nel cuore di quella sughereta nella quale insiste la stazione satellitare americana NRTF-8 e le tre parabole del MUOS che, se occorresse ricordarlo, sono sotto sequestro per ordine della Procura di Caltagirone e in attesa della sentenza del CGARS.
Il giorno dopo, alle 2.41 del mattino altra scossa, magnitudo 3.4 e l’epicentro si sposta nel cuore dell’altopiano di Ragusa; quindi segue una serie di sette scosse di assestamento; poi la terra smette di tremare, ma solo per poche ore: alle 16.35 di ieri ancora una scossa, ancora più ad est, ma di magnitudo 4.6; quindi altre due di assestamento.
A questo punto, crediamo sia il caso di portare a conoscenza di quanti ritengono che un certificato antisismico sia un documento che si possa “procurare” da un giorno all’altro, cosa succede nel bacino del nostro Mediterraneo.
Era luglio del 2012 quando un gruppo di ricercatori della sezione di Catania dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia-Osservatorio Etneo, con la collaborazione di affiliati del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ Università di Napoli “Federico II,” del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, sezione di Scienze della Terra dell’ Università di Catania e della Now at Leica Geosystems S.P.A. di Cornegliano Laudense (M. Palano; L. Ferranti; C. Monaco; M. Mattia; M. Aloisi; V. Bruno; F. Cannavò e G. Siligato) hanno descritto le caratteristiche della microplacca che si trova, come stretta in una morsa, fra la grande placca euroasiatica e quella africana.
La microplacca definita “blocco siculo-ibleo”, sarebbe la responsabile dei grandi terremoti cui, di tanto in tanto, va soggetta la Sicilia ed è stata descritta, dal gruppo di studiosi sulle pagine di una prestigiosa rivista internazionale, già quattro anni fa.
Il geofisico Mimmo Palano – della sezione di Catania dell’INGV – è stato primo firmatario di quel lavoro; raggiunto telefonicamente, ci ha confermato quanto da noi reperito sul web e dei lunghi studi che hanno evidenziato i movimenti della micro-placca siculo-iblea. Per 18 anni, numerose stazioni GPS di alta precisione, installate sul territorio siciliano, su quello calabrese e sulle isole circostanti, hanno verificato e misurato i movimenti crostali e la velocità delle deformazioni delle diverse “fratture” che, dal Vulcano Etna e dalle Isole Eolie, attraversano la parte centro-settentrionale dell’isola e, da Messina, dirigono verso Letojanni (sulla costa ionica), quindi proseguono ancora in mare, raccordandosi ad un altro sistema di fratture sottomarine, noto come la “scarpata ibleo-maltese”, al centro del Canale di Sicilia.
Secondo gli esperti di vulcanologia, quindi, non è corretto affermare che la placca africana (che spinge verso nord est) interagisca con quella euroasiatica, insinuandosi sotto la stessa, in realtà ciò che sembrerebbe avvenire, nella zona di collisione, sarebbe la formazione di una serie di piccole unità, di piccole fratture, che si muovono con una dinamica sicuramente più articolata di quanto si possa pensare.
Il blocco siculo-ibleo ha la forma di un grande cuneo, con l’apice rivolto a ovest, ed i suoi movimenti variano spostandosi e incidono in maniera diversa, da una zona all’altra, dell’isola. Questi “movimenti” sono stati studiati attraverso le stazioni Gps. In tal modo gli studiosi hanno potuto osservare come la crosta terrestre, nella parte occidentale della Sicilia, si sposti verso nord-nord-ovest di circa mezzo centimetro l’anno e come tra Palermo e Cefalù lo spostamento sia verso nord di circa un centimetro l’anno. Ma mentre le distanze da Ustica, non subiscono variazioni (appena un mm l’anno). Ad est, nella zona Eolie-Peloritani-Messina, la crosta si muove verso nord-nord-est al ritmo di un centimetro l’anno, così come avviene tra l’Etna e i monti Iblei, e Malta, in direzione nord-nord-ovest.
Mimmo Palano e i suoi colleghi ritengono che questa faglia non si limiti ad interagire fra il blocco siculo-ibleo e quello calabro-ionico, ma che a lei si
debbano attribuire sia la nascita dei vulcani eoliani che i grandi terremoti storici della Sicilia orientale, come quelli della val di Noto del 1693 e di Messina del 1908. Tutto considerato, il blocco siculo-ibleo sembra essere vittima del processo di collisione tra la placca africana e quella euroasiatica e, muovendosi lateralmente verso nord ovest, in tutti e tre i versanti dell’isola si originano zone esposte al rischio sismico. Ma, afferma il ricercatore: “non c’è dubbio che i terremoti più forti avvengano lungo il settore orientale della Sicilia”.
Ricordiamo che nel 1169 e cinquecento anni dopo, nel 1693, due violentissimi terremoti devastarono l’intera Sicilia sud-orientale, radendo al suolo molti centri abitati e ingenti danni causarono anche nel palermitano e a sud, fino a Malta e in Tunisia. Non dimentichiamo nemmeno il violento terremoto (magnitudo 5.6) che la notte del 13 dicembre del 1990 (S. Lucia) si è abbatté sui paesi della Val di Noto, nel siracusano, provocando 17 morti e oltre 15 mila senza tetto.
Siamo certi che gli amministratori e gli “aventi causa” sulla questione MUOS sapranno valutare opportunamente anche questi dati, e gli ultimi studi prodotti dai ricercatori dell’ INGV, oltre a quelli già presentati dai CTP, delle parti in causa, nel processo di secondo grado, presso il CGA per la Regione Siciliana.
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