Di Daniela Giuffrida
Nel silenzio imbarazzante dei media nazionali, in ben altre faccende affaccendati, si sono svolti ieri i funerali di due Uomini morti in servizio, nel tentativo di salvare altre vite umane.
Purtroppo – e noi siciliani lo sappiamo bene – in un paese come il nostro in cui si preferisce il gossip e lo scandalo spicciolo a qualsiasi altra cosa, una notizia del genere non può che passare in secondo piano.
Tutto ciò poco importa però in terra siciliana, una terra in cui valori umani e solidarietà non fanno mai bella mostra di sé, ma vanno ben oltre il significato delle parole stesse, dei filmati di convenienza o del gossip dell’ultima ora e lo fanno talmente tanto che nessuna delle persone che ho ascoltato in questi giorni – solo telefonicamente, trovandomi lontana dalla mia terra – si è permessa di evidenziare o di solo accennare alle “differenze” esercitate dai media nazionali.
Ma noi andiamo oltre: noi onoriamo i nostri “morti” e lo facciamo con tutta la nostra forza, con tutto l’amore che sappiamo e che possiamo e poi, non è tempo per le polemiche: noi abbiamo ancora da piangere i nostri eroi e tante altre cose da fare per il bene della comunità. Abbiamo il loro esempio da seguire.
E così ieri, da Catania a Trapani, i Siciliani si sono stretti alla grande famiglia dei Vigili del Fuoco e ai suoi figli Dario e Giorgio, caduti in servizio, a Marcello e Giuseppe ancora in ospedale a Catania, in fase di lenta ripresa il primo e ancora sedato il secondo e a Liborio, testimone impotente del tragico incidente, oltre che ai loro familiari tutti.
Cosa resta della giornata di ieri oltre al cordoglio del procuratore Zuccaro che sta conducendo l’inchiesta sui fatti avvenuti il 20 scorso? Ci resta l’immagine di sei vigili del fuoco intorno a una bara avvolta nel tricolore, a Catania come a Trapani, un casco che nessuno più indosserà a perenne memoria di una fine improvvisa, immeritata e ingiusta e la foto di un giovane in una cattedrale gremita di gente comune, di tanti, tantissimi Vigili del Fuoco e di rappresentanti delle altre forze dell’ordine, mischiate alla gente comune, tutti con i volti rigati di pianto e gli sguardi cupi.
Ci resta l’immagine di una giovane mamma che abbraccia la figlia sedicenne mentre stringe la mano di quel ragazzino che papà Dario aveva lasciato per un istante in caserma perché… papà aveva da fare un servizio ma sarebbe tornato presto: un istante diventato eterno.
Ci resta il bagno di folla di due piazze gremite di gente comune, venuta a salutare quegli Uomini morti per una “missione”, quelle bare avvolte nel tricolore che arrivano su mezzi di servizio e vanno via su comuni automobili, come uomini comuni, mentre tutti i mezzi di servizio, presenti in piazza, accendono le loro sirene ed un “drago” volante li guarda dall’alto.
Ciao ragazzi, anche da una mano che scrive.
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