di Daniela Giuffrida
Era lo scorso maggio quando Barack Obama, autorizzò le perforazioni offshore al largo dell’Alaska, sottoponendole però a limitazioni e prescrizioni che dovevano preservare, da possibili rischi, l’ambiente circostante agli impianti. Questa decisione assolutamente politica del Presidente statunitense aveva suscitato dure reazioni da parte degli ambientalisti.
“Le attività condotte al largo delle coste dell’ Alaska – aveva dichiarato Brian Salerno del Dipartimento degli Interni – rispettano alti standard di sicurezza, protezione ambientale ed interventi di emergenza che permettono di continuare a monitorare costantemente il lavoro di Shell, per garantire la massima sicurezza e protezione ambientale (La Repubblica).”
Il 18 agosto, però, gli Uffici per la tutela dell’ambiente statunitensi avevano ratificato la decisione di Obama: gli Stati Uniti avevano dato il via libera definitivo a Royal Dutch Shell, per la ricerca del petrolio nelle acque dell’Alaska.
Le attività di perforazione della Shell erano state bloccate nel 2012, a causa dell’ incidente occorso alla piattaforma petrolifera “Kulluk” che, il 31 dicembre del 2012, si era arenata al largo dell’isola di Sitkalidak, nelll’Alaska meridionale.
Una forte reazione degli ambientalisti era seguita a quell’incidente e la “campagna” contro quelle attività tanto invasive in un ambiente estremamente sensibile alle alterazioni dei cambiamenti climatici, erano riprese in grande stile. Nonostante ciò, le compagnie petrolifere avevano continuato le loro attività estrattive: l’Artico sembra che “custodisca” oltre il 20 per cento delle riserve mondiali di petrolio e di gas, riserve preziosissime, impossibili da ignorare e poco importa se “sfruttarle” può mettere a serio repentaglio la sopravivenza dell’ecosistema di balene, trichechi e orsi polari.
Due giorni fa, la Royal Dutch Shell ha annunciato l’abbandono della ricerca di idrocarburi nell’Artico, dopo il fallimento del tentativo al largo delle coste dell’Alaska.
Kumi Naidoo, Direttore Esecutivo di Greenpeace International ha dichiarato: “Oggi è un gran giorno per l’Artico. Questa è un’enorme vittoria per milioni di persone che si sono opposte ai piani di Shell, e nello stesso momento è un disastro per le altre compagnie petrolifere che hanno interessi in quella regione.
Shell ha scommesso pesantemente sulle trivellazioni nell’Artico e oggi ha rimediato una sonora sconfitta, sia in termini di costi che di reputazione pubblica. Quello del colosso petrolifero anglo-olandese era diventato il progetto petrolifero più controverso al mondo: ora Shell torna a casa a mani vuote”.
Greenpeace ha chiesto in una nota a Barack Obama di cancellare ogni altro futuro progetto di trivellazione nell’area “per contrastare con serietà i cambiamenti climatici, dobbiamo rivoluzionare totalmente il nostro modo di pensare. E trivellare nell’Artico non è compatibile con questo cambio di visione..”