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Immagine del redattoreDaniela Giuffrida

L’altro lato della medaglia

di Daniela Giuffrida


14 luglio 2012, sono già trascorsi cinque anni da quel tremendo giorno di mezza estate, ma il suo ricordo è ancora presente, ancora tangibile e le sue tracce, nel bene e nel male, destinate a restare nel tempo.

Questo articolo, scritto per LinkSicilia, venne immediatamente condiviso dalla ASAPS (il Portale della Sicurezza Stradale) che lo riportò anche sulla propria rivista ufficiale (“Il Centauro”) e divenne in brevissimo tempo “virale” sul Web. Oggi, come 5 anni fa, testimonia la particolare attenzione con cui tre agenti di una volante fecero il “loro mestiere”.  E’ un pezzo da archivio ma riproporlo oggi può servire a mostrare quale può essere “l’altro lato della medaglia”, perché non sempre e non tutto ciò che si descrive come “mostro”,  a volte lo è.

14 luglio 2012  –  I FATTI

Adesso so cosa significhi sentirsi soli, assolutamente soli e abbandonati a sé stessi mentre decine di auto ti scivolano accanto senza vederti…, il sole ti abbaglia e il caldo scioglie anche l’’ultima fibra del tuo essere. Adesso so cosa prova un cane abbandonato in una piazzola di sosta… lungo un’’ autostrada…, alle 2 del pomeriggio di un’ estate siciliana.


Sola in macchina, sono di ritorno da Acate (RG) e dal vicino bosco di Santo Pietro dove, durante la seconda guerra mondiale, sorgeva un piccolo aeroporto con una sola pista in terra battuta: l’aeroporto Biscari-Santo Pietro, fu raso al suolo fra il 13 e il 14 luglio 1943, dagli americani sbarcati sulle vicine spiagge di Scoglitti durante l’Operazione Husky.

Fin dal mattino, un gruppo di attivisti, provenienti da diverse province, protestano contro il MUOS, il Mobile User Objective System, il sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) che gli americani stanno installando all’interno della loro base NRTF di c.da Ulmo a Niscemi: in quell’angolo di sughereta orientata, Sito di Interesse Comunitario (S.I.C.) insistono già 46 antenne che, da oltre 22 anni, ammorbano” l’aria di mezza Sicilia….

Poche bandiere, la giornata è caldissima: siamo in pochi a manifestare e tutti estremamente tranquilli.


Nonostante questo, Poliziotti, Carabinieri, Digos e quant’altro, in divisa e non, ci fotografano, ci analizzano, ci riprendono e registrano: in strada e sui balconi del maestoso castello dei Principi di Biscari, è tutto un brulicare di macchine fotografiche e cineprese sfoggiate dalle Forze dell’Ordine. Sbigottiti, commentiamo fra noi e sorridiamo: “Hanno paura di noi?”. Sembra chiaro a tutti di essere considerati pericolosi criminali, eppure siamo tranquilli e armati solo delle nostre bandiere “No Muos”. Probabilmente,  la presenza all’interno del castello di “personaggi illustri” della politica italo-europea, richiede tanto schieramento di forze.

Finita la conferenza ad Acate, ci spostiamo al bosco di Santo Pietro. In quel piccolo angolo di Sicilia, gli “alleati”, sbarcando, commisero uno degli eccidi più efferati del secondo conflitto mondiale ma del quale, la storia ufficiale, si è dimenticata. Nel piccolo aeroporto, già dal 1941, era stato stanziato il 153º Battaglione Mitraglieri ed alcune unità tedesche della 1. Fallschirm-Panzer-Division Hermann Göring.

“Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali! ” l’ordine, che non lasciava

spazio ad alcuna interpretazione, venne dal generale George Smith Patton ai suoi soldati e 74 soldati (70 italiani e 4 tedeschi) furono ignobilmente trucidati dopo essersi arresi. Privati dell’onore dei loro gradi e della loro divisa, furono fucilati sul bordo della strada per Acate da coloro i quali giungevano su terra siciliana come liberatori dal “nazi-fascismo”.

Durante la cerimonia, il nostro vociare “antiamericano” dà fastidio a uno degli ufficiali presenti e questi ci chiede di tacere fino a cerimonia ultimata. Il monumento viene scoperto ed il nome di quei soldati resterà sotto il sole, in quel bosco, a parlare di un sopruso cocente più dello stesso sole siciliano.

Finito tutto, ripieghiamo e riponiamo le nostre bandiere quindi ci avviamo verso casa: la mia auto è rimasta a Lentini (SR) sotto il sole e per tutta la mattina, alle 13.00 è già infuocata…, quanti gradi? L’’ inferno!

Poi l’’ autostrada.

Improvviso un messaggio inaspettato sul mio cellulare, un dolore forte, strano e sconosciuto in pieno petto, non mi dà’ possibilità alcuna di scelta: faccio fatica a respirare, devo fermarmi, capire cosa sta succedendo. Provo a ricordare se abbia già provato una cosa simile…, ma non trovo risposta, riesco a fermarmi dentro una piazzola d’emergenza, spengo il motore e il rumore leggero del condizionatore cessa, poi è il buio assoluto.

Riapro gli occhi un istante, spettatrice di un dramma che sto vivendo in prima persona. Non so quanto tempo sia trascorso, chiusa dentro l’’ abitacolo della mia auto, inchiodata su quel sedile, mentre il sole infuoca le lamiere e l’’ aria diventa irrespirabile, sto sudando. Sul sedile accanto, il mio cellulare, riesco ad afferrarlo, il pollice preme un tasto e parte l’’ ultima chiamata in memoria…. Una voce lontana ma familiare, chiede cosa stia succedendo, capisce che sto male e grida per farsi sentire il suo ““dimmi dove sei, ti raggiungo”……” ma io riesco soltanto a farfugliare frasi sconnesse.. Piango e le lacrime si mischiano al sudore che scende a fiumi dalla mia fronte…, i miei vestiti sono fradici e puzzano, non ho mai sentito quell’odore nauseabondo su di me, è l’odore della morte quello che sento: mi sto “liquefacendo”.

Sento gocce di sudore venir giù dall’ orecchio destro e scivolare sulla spalla nuda e poi lungo il gomito…. In lontananza quella voce, familiare e lontana: è fredda e tranquilla,… chiama decisa il mio nome e mi dice di stare calma. Lui, la causa di quel malore è freddo, lontano anni luce dalla mia sofferenza.… Poi è ancora buio…, buio totale.

Riapro gli occhi, un camion si è fermato, scendono gli autisti. Dallo specchietto retrovisore li vedo guardare verso di me. Si girano, forse fanno pipì… ma se si sono girati vuol dire che mi hanno vista e se mi hanno vista perché non vengono ad aiutarmi…? Batto contro il vetro, sul clacson…… credo di farlo, in realtà, li sto soltanto “accarezzando”…: sono stremata, disperata.

I due camionisti si stiracchiano, si versano addosso una bottiglia d’acqua, risalgono a bordo, ripartono. Comincio a gridare, piango, poi  non sento più nulla, solo quella voce tanto amata quanto crudele, lontana, continua a chiamare il mio nome.

Gli angeli

Improvvisamente, mi rendo conto che qualcosa sta accadendo…: qualcuno, qualcosa mi sta soffiando sul viso,… una mano mi solleva la nuca, una voce, stavolta vicina mi chiede il mio nome. Apro gli occhi e lo vedo: ha la divisa azzurra di un poliziotto, gli occhi chiari mi guardano preoccupati, la voce però è ferma e mi fa’ due milioni di domande…. Io non capisco le sue domande e ancora meno le mie risposte…: farfuglio suoni senza significato. Il poliziotto continua a reggermi la testa, con l’altra mano ha preso il telefonino e sta parlando con la voce di prima. Sento le parole “”si, Polizia

Stradale”…””, “tunnel di San Demetrio”…”, “la signora sta male”… si sta arrivando il 118… si, ci siamo noi con la signora” poi riattacca e mi domanda chi sia la persona al telefono io gli rispondo: “un bastardo”, solo un bastardo” ed è ancora buio.

Riapro gli occhi e la mano gentile scuote la mia testa adagio ed è ancora acqua fresca che accarezza la mia fronte…. Chiedo scusa a quegli occhi chiarissimi, mi rendo conto di essere in condizioni indecenti, i miei vestiti fradici hanno un odore insopportabile, il poliziotto sorride, si rende conto che ho finalmente ripreso conoscenza….

Gli altri agenti hanno aperto tutti gli sportelli, parlano fra loro mentre “mano gentile dagli occhi chiarissimi” continua a farmi domande, io comincio a rispondere, faccio un sorriso…, svengo ancora,… mi risveglio ancora… e il poliziotto è ancora li piegato sulla schiena, regge la mia testa per impedire che il sole picchi ancora sulla mia faccia e sorride mentre mi parla e mi chiede di mia figlia (come sa che ho una figlia?) e cerca ancora di tenermi sveglia.

Non so quanto tempo abbia trascorso piegato così,… lascia la mia testa e finisce di bagnare la mia fronte solo quando arriva l’’ ambulanza del 118 che mi condurrà in ospedale. Dentro la mia auto 63°.

Le prime cure, sedativi, analgesici, non so cosa mi abbiano propinato, il dolore al petto è pressante, temono un infarto ma non lo è. Socchiudo gli occhi… ma è ancora la voce del poliziotto che mi chiama per nome. Guardo i suoi occhi così azzurri e il suo sorriso, farfuglio un ““grazie per ciò che avete fatto””, lui mi risponde ““è il nostro lavoro”,” io annuisco e rispondo che “c’ ’è modo e modo di fare il proprio lavoro… e che tanta umanità è cosa rara da trovare. Lui si mostra un po’imbarazzato e mi chiede il mio nome, sorridendo: “.. allora Marcella o Daniela?” Sorrido anch’io.

Vi devo la vita……

Ass/te Capo  Giuseppe S.

Ass/te Giuseppe M.

Ass/te Aurelio M.

del distaccamento di Lentini, della Polizia Stradale…

GRAZIE.

Daniela

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