Di Daniela Giuffrida
Chiede un incontro col Ministro della Giustizia, il fratello di Graziella Campagna e conclude la sua intervista, ai microfoni del quotidiano messinese “Stampa Libera”, con il suo accorato: “Io mi vergogno di essere italiano”. Carabiniere oggi in pensione, Piero Campagna non riesce a contenere la propria indignazione davanti alla notizia della concessione di semilibertà ad uno degli assassini della sorella. Ma l’indignazione diventa “rabbia” quando ricorda e racconta come fu “ammazzata” Graziella.
Aveva solo diciassette anni la giovane di Saponara (ME), quando venne trucidata barbaramente la sera del 12 dicembre 1985 da Giovanni Sutera, guardaspalle di Gerlando Alberti Jr, – nipote latitante di quel boss Gerlando Alberti che anni prima era stato assicurato alla giustizia dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Parla della crudeltà dei suoi assassini, Piero Campagna, che quella sera, incuranti della pioggia che veniva giù copiosa, prelevarono la ragazzina in attesa della corriera che l’avrebbe portata a casa e la condussero a Forte Campone – una località di campagna vicino Villafranca Tirrena, la cittadina dove la giovane lavorava. Racconta di come, davanti alla denuncia di scomparsa della famiglia, i Carabinieri avessero inizialmente pensato ad una “fuitina”, per poi convincersi che altro doveva essere successo e ancora, parla delle ricerche che immediatamente condussero al corpicino straziato della ragazzina, là dove era stata portata per essere “giustiziata”.
A riconoscere la giovane era stato proprio Piero: cinque ferite d’arma da fuoco, racconta, rivelatasi una lupara calibro 12, che aveva sparato da non più di due metri di distanza, i suoi “pallini freddi”. Le avevano sparato dall’alto, dopo averla fatta inginocchiare come a chiedere “perdono” (ma perdono di cosa?): le ferite erano sulla mano e sul braccio (con cui probabilmente aveva tentato di proteggersi), all’addome, alla spalla e alla testa. Piero racconta di aver sentito le grida di disperazione della madre – appena informata del ritrovamento dei Carabinieri – mentre tornava a casa e da oltre un km di distanza.
Chi era Graziella Campagna, che cosa aveva fatto o scoperto per essere stata “giustiziata” in quel modo? La giovane era nata il 3 luglio del 1968 a Saponara Centro (ME) era cresciuta insieme ad altri sei, fra fratelli e sorelle. La sua era dunque una famiglia numerosa e così lei aveva deciso di abbandonare gli studi per trovare un lavoro. E lo aveva trovato quel lavoro in nero, come aiutante in una lavanderia nella vicina Villafranca Tirrena: un “lavoretto” che le fruttava solo 150.000 lire al mese e che le avrebbe regalato la morte. Lavorava serena, dunque e covava silenziosi sogni d’amore come tutte le ragazzine della sua età, quando un giorno accadde l’imprevedibile. Trovò, dimenticata nella tasca di una camicia di proprietà di un certo “Ingegner Cannata”, una patente di guida dalla quale si evinceva la vera identità del proprietario: questi era Gerlando Alberti Jr, nipote del boss mafioso di cui porta il nome e mafioso egli stesso. Questa “informazione” trasformò la giovinetta in un pericolo “vivente” per l’Alberti. Quindi bisognava eliminarla! Quel 12 dicembre, finito di lavorare, Graziella si recò come ogni sera alla fermata della corriera e, sotto una pioggia insistente, aspettò il mezzo che l’avrebbe condotta a casa. Da lì a poco un auto si fermò e testimoni affermarono che la ragazza salì a bordo tranquilla: conosceva chi si offriva di darle un passaggio? Sicuramente non immaginava che da lì a poco la sua vita sarebbe stata spezzata.
Graziella non fece ritorno a casa quella sera, non ci sarebbe tornata mai più.
I due assassini venero rimandati a giudizio il 1º marzo 1990, ma tre mesi dopo, il giudice Marcello Mondello giudicò “debole” il movente dell’assassinio e i due furono scagionati. Quel magistrato negli anni successivi sarà processato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tutto sembrava tacere finché, sei anni dopo questi fatti, la trasmissione tv “Chi l’ha visto” rispolverò il caso-Campagna, riproponendolo all’attenzione del grande pubblico: da lì partirono nuove indagini anche nei confronti dei titolari della lavanderia e di altri loro familiari, indagati per “favoreggiamento”. L’11 dicembre del 2004 i due assassini vennero giudicati colpevoli e condannati all’ergastolo, mentre degli altri indagati soltanto in due vennero condannati a due anni di reclusione, ciascuno.
Erano stati anni di lunghi processi e di lotte condotte per conto della famiglia Campagna, dal loro legale, l’avvocato Fabio Repici, un avvocato forte, giusto, risoluto che non si è mai fermato a ciò che appare ma è sempre andato oltre, alla ricerca della verità “vera”. Egli, riuscendo a scardinare i mille depistaggi destinati a “proteggere” i due autori del delitto ha permesso che si giungesse finalmente a quella sentenza “giusta” che, certamente non avrebbe fatto tornare in vita Graziella, ma forse avrebbe donato ai familiari un po’ di serenità. Quella sentenza definitiva venne pronunciata nel 2009 dalla Corte di Cassazione, e condannava i due assassini al massimo della pena: l’ergastolo.
Sembrava fosse tutto finito ma non era così. Trascorsi pochi mesi dalla sentenza, l’11 dicembre dello stesso 2009, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna concesse gli arresti domiciliari a Gerlando Alberti Jr, perché le sue condizioni di salute non erano compatibili con il carcere.
Immediate le reazioni della famiglia Campagna. Un anno dopo, il 15 dicembre 2010, il Procuratore Generale reggente di Bologna, impugnò, finalmente, l’ordinanza di scarcerazione di Alberti di fronte alla Corte di Cassazione, evidenziando la mancanza di una perizia d’ufficio sulle effettive condizioni di salute dell’ergastolano e questi rientrò nuovamente in carcere in maniera, finalmente, definitiva. Inutile dire che dopo tanti anni, oggi Gerlando Alberti Jr è ancora detenuto, a dimostrazione del fatto che le sue condizioni di salute, già 10 anni fa erano perfettamente compatibili con il regime di detenzione carceraria.
Ma, ancora, non finisce qui. Nel 2014 l’altro assassino, Giovanni Sutera, ha ottenuto la semilibertà e nel 2015 la libertà condizionata senza che la famiglia Campagna ne venisse informata! Purtroppo, sappiamo bene come a volte funzioni la Giustizia italiana: commina una pesante condanna per poi trovare giustificazioni più o meno valide (salute, buona condotta e via discorrendo…) che la inducono a ridimensionare la pena e a lasciar venir fuori dalle patrie galere un condannato, anche se ha scontato solo pochi anni di detenzione. Ora, siamo d’accordo sul compito “educativo-riabilitativo” della detenzione, potremmo anche disquisire per giorni su come non sia giusto chiudere in una cella – gettando via la chiave – il colpevole “certo” di un reato. Ma tutto ciò è davvero inaccettabile per i parenti delle vittime di quel reato.
Così oggi Piero Campagna, venuto a conoscenza della scarcerazione del Sutera non si dà pace e rifiuta tassativamente di accettare che ad un assassino che «non si è mai pentito, non ha mai collaborato con la giustizia, non ha mai dato un contributo allo Stato e non ha mai detto la verità”, vengano concessi dei benefici. “E’ una legge sbagliata – grida forte – costruiamo torri di legalità che lo Stato demolisce davanti ai nostri occhi, andiamo nelle scuole a parlare del caso di Graziella, e quando i ragazzi ci chiedono dove sono gli assassini di nostra sorella, noi, cosa possiamo rispondere?”.
Il 17 dicembre del 1996, l’Associazione Anti mafie “Rita Atria” di Milazzo e il “Comitato per la pace e il disarmo unilaterale” di Messina presentano il primo dossier sull’omicidio Campagna: “Graziella Campagna a 17 anni Vittima di mafia”.
Pochi mesi più tardi il dossier diventa un libro, Graziella Campagna a 17 anni vittima di mafia, storie di trafficanti, imprenditori e giudici nella provincia dove la mafia non esiste (Armando Editore).