Di Daniela Giuffrida
Quello della pesca è un comparto economico praticamente ignorato dai media ma anche e, soprattutto, dagli addetti ai lavori che risiedono nei palazzi del potere.
Perché se è vero che l’Unione Europea impone risoluzioni discriminatorie ai nostri pescatori, esiste anche una Italia che, evidentemente, non si impegna abbastanza per tutelare i suoi “prodotti” e i suoi lavoratori. Ed è così che la “crisi” della pesca investe e coinvolge, solo in Sicilia, circa 30mila famiglie.
Ad affermare le criticità che soffre questo importante settore produttivo della nostra isola, è la Federazione del Sociale USB Catania che in una sua nota denuncia, cifre alla mano, la crisi del comparto pesca in Sicilia e le “influenze” mafiose che un certo tipo di caporalato esercita sui piccoli pescatori. La nota, ci è stata trasmessa dal giornalista freelance e militante della stessa Federazione, Orazio Vasta.
Dal 2000 a oggi – afferma la Federazione del Sociale USB – i pescherecci siciliani si sono ridotti da circa 4500 a poco più di 2500 . Delle 22 barche industriali per la pesca e il trattamento del tonno rosso ne sono rimaste appena 3 e una è in crisI. Nell’intera filiera ittica siciliana, attualmente, i lavoratori sono circa 30 mila, 10 mila di questi sono pescatori.
In 10 anni, si sono persi circa 18 mila posti di lavoro e il pescato si è ridotto del 40 per cento, mentre sono aumentate le importazioni del pesce lavorato dalle circa 350 aziende di trasformazione e commercializzazione, che hanno un fatturato di circa 500 milioni di euro.
In questo quadro, in Sicilia ci sono 121 porti di sbarco e una marineria fatta di micro realtà che, purtroppo, non riesce a dar vita alle cooperative, figuriamoci ad un consorzio di cooperative. La crisi del comparto pesca è alimentata principalmente dalle decisioni imposte dall’UE, che ha assunto nei confronti della pesca risoluzioni che possiamo definire discriminatorie. Infatti, all’interno dell’UE emerge chiaramente la difformità di applicazione delle stesse norme in tema di politiche, alias sanzioni, per e sulla pesca.
Ciò ha prodotto una situazione di disparità di trattamento tra i comparti della pesca fra gli Stati membri dell’UE, con gravi ricadute negative, in termini di pescato e, quindi, di posti di lavoro, per i comparti del sud Europa.
Per i lavoratori del settore, per quelli siciliani, in modo particolare, tempi duri, quindi.
TEMPI DURI che stanno segnando la continua perdita di posti di lavoro, ma anche la scomparsa di tradizioni, di intere comunità e di abitudini alimetari. Ad Aci Trezza , per esempio, non si costruiscono più pescherecci, e una ventina di essi sono stati “rottamati” per ottemperare a una normativa UE. Lo storico cantiere dei Rodolico, famiglia di maestri d’ascia che fece della marineria trezzota una delle più importanti del Mediterraneo, è ormai una sorta di museo privato di tradizioni marinare.
TEMPI DURI, che segnano anche la presenza del caporalato del mare, che sfrutta manodopera in nero e a basso costo, con l’utilizzo anche di piccole barche. Il caporalato, dalle campagne al mare, è MAFIA, ed ecco che in poco tempo abbiamo registrato nella riviera catanese azioni intimidatorie nei confronti di singoli pescatori, con barche date alle fiamme, barche bucate, con pescatori che, da un giorno all’altro, vendono la barca e diventano imbianchini.
TEMPI DURI, dove il pesce più consumato in Sicilia è il bastoncino di merluzzo panato e surgelato, come ci fa sapere il Centro di ricerca sulla pesca di Palermo.
La Federazione del Sociale USB Catania chiede la realizzazione di un Piano regionale per la pesca, che tenga in considerazione le esigenze delle comunità marinare locali, risorse economiche e culturali per tutto il territorio.
Federazione del Sociale USB Catania Via Caltanissetta, 3 c.urzi@usb.it
*foto Orazio Vasta