LA MIA ISOLA
- Daniela Giuffrida
- 11 gen 2018
- Tempo di lettura: 2 min
di Daniela Giuffrida
Io non so quale sia il mio colore politico, ho sempre creduto che i miei colori fossero il giallo dei campi di grano della mia terra e il rosso della lava del mio vulcano.
Ho sempre creduto che il frusciare del vento fra le spighe dei nostri campi e il frinire di grilli e cicale, nelle notti d’estate, fosse musica e armonia per la mia anima, così come i boati sornioni e lontani del mio vulcano in eruzione.
Ho sempre pensato che zagare e gelsomini e ginestre fossero stati donati alla mia terra perchè i loro profumi si fondessero e regalassero emozioni uniche agli stranieri che si trovassero di passaggio per le nostre “contrade”, che l’azzuro e l’immensità del nostro mare servisse a riempire i cuori di coloro che, in cerca di pace, venissero sulla mia isola dorata, per trovarla e la trovassero.
Ho sempre pensato alle lucertole al sole e alle lucciole nel buio della notte come a creature magiche: gnomi e folletti, le prime, fatine del grano disposte a danzare per noi, le seconde.
Ho sempre pensato alla mia gente come ad un popolo talmente consapevole della propria grandezza e unicità da non aver bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Che i nostri occhi verde-normanno non fossero nostri solo per caso: gradazioni di verde, cangianti ai raggi del sole, al mutare del nostro sentire.
Ho immaginato che il nostro sole, il nostro mare, i nostri profumi, i nostri colori, potessero preservare la mia gente dagli infausti destini preparati per noi da forze lontane e cattive.
Ho immaginato la mia terra come un’oasi di pace nell’inferno di questo pianeta.
Mi sbagliavo.
*foto: Gio’ Coco