Di Daniela Giuffrida
Cosa fai se alcuni tuoi cari amici ti chiedono, dal lontano nord, di indicare loro un bel posto da vedere in Sicilia? Parli loro della valle dei templi di Agrigento o degli splendidi mosaici di Piazza Armerina? Oppure racconti loro della maestosità del tuo vulcano, dei rossi tramonti sulle saline trapanesi o della bellezza dell’isola di Ortigia?
Nossignori, niente di tutto questo!
Fai molto di più: proponi loro una vacanza straordinaria in un luogo dalla bellezza unica, sul versante meridionale della Sicilia: un luogo che non è Selinunte o la Val di Noto e che non possiede bellissime spiagge dorate, che non mostra di sé la bellezza “per turisti” che son soliti citare gli agenti di viaggio, ma un luogo che racchiude e conserva, oltre ai profumi di quella mia terra, la sofferenza di un’anima provata. Si tratta di un luogo in cui palpitano insieme, il cuore ferito di una sughereta e l’anima di una popolazione costretta a subire volontà provenienti da invasori stranieri, a dir loro “autorizzati” da sedicenti padroni di casa che risiedono nei piani alti del potere. Un luogo in cui anni di lotta sul campo e nelle aule di mille tribunali non sono serviti a guarire l’orgoglio massacrato di una popolazione intera, derubata della propria dignità. Sarà un viaggio con destinazione a sorpresa ma che, sono certa, resterà nella memoria dei miei amici, per sempre.
È così che in una splendida mattina di primavera, dopo un rapido volo e dopo aver preso a nolo un’automobile, accompagno gli ignari miei ospiti nel cuore di Contrada Ulmo a Niscemi, in quella che una volta era una magnifica sughereta (seconda in Europa per età e per estensione), ma che da tanti anni è diventata la sede di un groviglio di antenne, fili, reti e parabole piazzate lì ad uso e consumo esclusivo della U.S.Navy. In quel luogo – dichiarato tanti anni fa dalla Comunità Europea “SIC”, ovvero Sito di Interesse Comunitario e voluto “zona A” nel 2009 da un decreto di riperimetrazione emanato dall’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente del tempo – dove non sarebbe possibile piantare neanche un chiodo su un sasso a meno di non indossare il cilindro dello zio Sam, in quel luogo è stata posta in essere da tanti piccoli eredi di quello “Zio” una stazione satellitare che rappresenta non solo uno sfregio al territorio ma, soprattutto, l’ennesima dimostrazione di forza e di strafottenza dei diritti altrui, targata Stati Uniti d’America: la stazione NRTF-8 della USNavy.
Procediamo lungo la solita vecchia trazzera che conosco bene e che, attraversando la sughereta ci condurrà davanti all’ingresso principale della stazione americana all’interno della quale, circa dieci anni fa la Marina statunitense (per nulla intimorita dalle rimostranze della popolazione) ha voluto aggiungere, alle 44 antenne preesistenti, anche il quarto terminale “terrestre” del sistema MUOS. Racconto ai miei amici quale sia il potere di controllo e quindi “distruttivo” di quel sistema su tutto il pianeta e soprattutto sui “nemici” degli Stati Uniti e di come, inizialmente, le tre parabole dovessero essere collocate all’interno della base NATO di Sigonella. Loro mi ascoltano in assoluto silenzio anche quando racconto di come una simulazione informatica sul sistema MUOS fornita dai consulenti di Maxim Systems (e quindi dagli stessi americani) avesse evidenziato la pericolosità delle onde elettromagnetiche sui missili e sugli aerei custoditi accuratamente nella base Nato e di come gli stessi “padroni di casa” avessero deciso di insediare le tre parabole all’interno della Stazione satellitare preesistente, a circa 8 km dal municipio di Niscemi. Tanto visto che già c’erano, una porcheria in più… Uno dei miei accompagnatori sorride e pensando di essere spiritoso afferma: “Certo in un Municipio non dovrebbero esserci missili e manco aerei, o si? Del resto da voi Siciliani ci si può aspettare di tutto, giusto?” e ride. Io gli lancio mille coltelli travestiti da occhiataccia, lui ridiventa serio e si rannicchia sul sedile, mentre gli altri gli danno dell’idiota. Proseguiamo.
Nei pressi della base, la stradina usurata oltre modo dal passaggio di mezzi militari, è occupata da due mezzi dell’Esercito Italiano che ci impediscono il passaggio ed io penso: “Ecco qua! Ora vogliono sapere chi siamo, da dove veniamo e che intenzioni abbiamo” e invece niente: tre militari sono chini in terra, ripiegati su se stessi, lungo la recinzione, controllano forse che qualche coniglietto non sia rimasto impigliato fra la rete esterna e la concertina (filo spinato) che fa bella mostra di sé a ridosso del versante interno della rete. Un altro militare parla tranquillo al cellulare; quando ci vede, ci sorride e ci fa segno di aspettare. Avverte i suoi commilitoni che risalgono sui loro mezzi e si spostano, facendoci passare. Noi fra buche e “burroni” raggiungiamo i due viottoli d’accesso alla cima della collina da dove potrò mostrare ai miei ospiti il MUOS-tro a tre teste, ovvero le tanto detestate tre parabole del MUOS. Ma le stradine non sono percorribili in alcun modo: la pioggia delle ultime settimane ha ridotto il sentiero argilloso ad una specie di intreccio di buche e canaloni per cui decidiamo non sia il caso di avventurarsi fin lassù solo per vedere quell’obbrobrio tutto americano, correndo peraltro il rischio di scivolare e rotolare a valle, riportando sicuramente spiacevoli conseguenze.
Quindi, torniamo in macchina e proseguiamo fino al cortile della casa privata che mette fine al sentiero, facciamo manovra e torniamo indietro. Incrociamo di nuovo i due mezzi dell’Esercito Italiano i cui occupanti si apprestano a scendere per “inginocchiarsi” ancora davanti a quella rete che peraltro sembra nuova di zecca. Osservo quella scena non senza provare malessere (un pizzico di compassione mista a rabbia?) nel vedere militari ITALIANI impegnati (ridotti?) a controllare una recinzione AMERICANA e pure in ginocchio, quando i bei soldatoni stellastrisciati se ne stanno tranquilli, ognuno a rafforzare i propri bicipiti (tricipiti, quadricipiti, pentacipiti e chi più “cipiti” ha, più ne metta!) nella attrezzatissima palestra sita all’interno del grande bunker. Giuro che quella palestra esiste davvero: l’ho vista io stessa, con i miei occhi!
Poi mi dico: “Scusa, Daniela, ma il TAR Sicilia nella sua ultima sentenza non aveva proibito i lavori di riperimetrazione e il ripristino delle vecchie reti perché il sindaco Conti era deciso a non dare autorizzazioni ed essendo lui a decidere sul suo territorio, era assolutamente impossibile che si eseguissero dei lavori? Oh… gente… lo ha sentenziato il Tribunale Amministrativo Regionale, mica micio-micio-bau-bau! Mah! – mi rispondo da me – forse mi sto sbagliando, forse sono quelle che i ragazzi hanno tagliato mille volte e miracolosamente sono tornate nuove! Vabbè!”. Proseguiamo in assoluto silenzio, nessuno in macchina parla e anche fuori, il silenzio è rotto solo dal rumore del vento. Mentre raggiungiamo l’ingresso della base, noto alcuni alberi di mandorlo, non hanno fiori ma dei “cosi” neri che non capisco cosa siano. Uno dei miei amici scende a raccoglierne alcuni e me li porge: sono piccole, piccolissime mandorle il cui mallo anziché essere verde è secco e nero. Forse sono solo piccole mandorle non raccolte e morte su degli alberi oggi rigonfi di foglie nuove e senza l’ombra di un solo fiore. Poi penso: “va bene, ma che posso sapere io di cosa è successo a questi mandorli, mica sono un botanico. Ma è normale che tutte le mandorle della zona sembrino carbonizzate mentre gli alberi sono bellissimi e pieni di vita? Boh, magari non sono manco mandorle…”.
Mentre ci allontaniamo per lasciare quel luogo dalla tristezza imbarazzante, ci fermiamo a bere un sorso d’acqua proprio ai piedi della maestosa “madame Verden”.
Saluto sua “mostruosità” come si fa con una vecchia amica che non vedi da molto tempo, con la stessa simpatia e il dovuto rispetto che si deve ad una montagna di ferraglia messa lì, suo malgrado, da certi militari altograduati e stellastrisciati, desiderosi di colloquiare amabilmente con sommergibili di tutti i tipi, in transito nel Mediterraneo e negli altri mari, laghi e pozzanghere, da qui all’Oceano Indiano. L’aria è fresca nella sughereta ma il sole la intiepidisce e si sta bene in macchina, sotto le antenne in fiore. Il silenzio fa da sfondo alle domande dei miei amici, alle loro considerazioni ascoltando i miei racconti su ciò che è successo in quei luoghi negli ultimi trent’anni. Ma improvvisamente, le nostre voci vengono coperte dal rumore sordo dei motori di due furgoni che, alle nostre spalle, sfrecciano a tutta velocità. Sembrano due Ducato, sono bianchi e solo quello in testa ha il logo della ditta… riesco a malapena a vedere quel logo ma lo riconosco, poco più tardi, per quello di una società che fa lavori edili e, ovviamente, vengono dalla base, non può essere altrimenti! Non c’è su quella strada altro posto dal quale possano essere venuti fuori se non l’ingresso della base e la casetta in fondo alla strada dove abbiamo fatto manovra e lì, di furgoni bianchi non ce n’erano.
A questo punto ho bisogno di sapere di più e chi può aiutarmi è soltanto lei, Concetta Gualato delle “Mamme No Muos” di Niscemi. Lei abita a due passi dalla base e ricordo il suo caffè come il migliore in tutta la zona: ho provocato molta angoscia nei miei amici con i miei racconti e forse un buon caffè può aiutarli a ripristinare certi equilibri interiori, saltati. La Gualato ci accoglie con la meraviglia e la gioia che si prova per una visita non preannunciata ma lo stesso tanto gradita: il suo sorriso gentile è lo stesso che viene riservato ad una amica che non vedi da tanto tempo, diciamo da oltre 6 anni! Le racconto ciò che abbiamo visto alla base e le chiedo se sa qualcosa di lavori alla base o quant’altro. Lei mi guarda seria: il suo sorriso si è ormai trasformato in una smorfia di disappunto, riflette un momento poi mi dice: “Chiamiamo il sindaco!” Il sindaco Conti, raggiunto telefonicamente, per quanto impegnato, mi ascolta con molta attenzione, poi con calma mi tranquillizza: non ci sono lavori in corso di alcun tipo alla base ed ha potuto constatarlo egli stesso essendo stato di recente all’interno della stessa. Ed io replico: “Ma niente niente i vostri “vicini di casa” stan chiedendo preventivi?” Il tono della voce del sindaco si altera leggermente poi, deciso: “IO NON HO DATO ALCUNA AUTORIZZAZIONE, NON POSSONO ESSERCI LAVORI IN CORSO.”. Va bene, forse ho esagerato, ma la sua ultima affermazione mi strappa un sorriso ed è inevitabile che io gli domandi: “Scusami, sindaco caro, ma ti risulta che questi signori si muovano sempre e soltanto dietro autorizzazioni concesse?”. Conti mi rassicura, mi dice che è tutto a posto, che non ci sono lavori di alcun tipo alla base perché lo ha visto con i suoi stessi occhi (ma allora quelli che ci facevano alla base?). Quindi ci salutiamo con la promessa di risentirci se ci fossero novità di qualsiasi tipo. Ormai tutti tranquilli, ci si rilassa davanti ad un caffè fumante chiacchierando, del più e del meno. Ma io, che davvero non so come complicarmi la vita, vado oltre col pensiero: seguo un filo logico che mi riporta indietro alla prima campagna elettorale del sindaco Conti: ripenso a quanti obiettivi egli abbia raggiunto insieme con la sua Amministrazione nel corso di questi anni, ripenso a come si sia adoperato per la città durante il difficile periodo della pandemia. Poi però, siccome il dubbio è un venticello sottile che si insinua senza preavviso, mi torna in mente il suo primo “programma” elettorale e quei dodici punti che egli aveva promesso di affrontare e risolvere nei primi cento giorni di quel mandato.
Guardo la Gualato che chiacchiera amabilmente con i miei amici, la fisso, lei mi guarda e mi dice: – “Che c’è Giuffrida, a cosa stai pensando?” – “Concetta cosa ne è stato della Commissione che avrebbe dovuto istituire il sindaco nei suoi primi cento giorni di mandato? Sai quella Commissione con rappresentanti dei Comitati e degli studiosi che avrebbero dovuto occuparsi dei controlli su tutto “l’ambaradan” di Contrada Ulmo, delle misurazioni e dei controlli sulle elettroemanazioni delle antenne, MUOS compreso? Che fine ha fatto?”
– “Stiamo ancora aspettando.”
– “Scusa, ma non erano cento giorni? Era il 2017 …”
Lei mi sorride: “stiamo ancora aspettando.”
Mi hanno ringraziato i miei amici quando il nostro volo ci ha riportati a casa, mi han detto che è stata davvero una “vacanza” intensa e straordinaria che certamente non dimenticheranno facilmente.