Di Daniela Giuffrida
Scorreva rapido il fiume: la stagione nuova tardava ad arrivare e le abbondanti piogge degli ultimi giorni avevano provocato l’innalzamento del suo livello. Il volume dell’acqua trascinata dalla corrente, lungo le poco ripide pendenze della collina, era cresciuto talmente tanto che infine aveva tracimato spingendosi fino agli alberi che erano cresciuti a ridosso dei suoi argini.

Il grande albero era cresciuto proprio lì, vicinissimo al fiume e da tanti anni si godeva lo splendido spettacolo offerto dal sereno scorrere dell’acqua pullulante di vita. Le sue radici, ben piantate in terra, si allungavano fin sotto il letto del fiume e venivano da questo nutrite, sicché lui era riuscito a diventare uno splendido albero, forte e rigoglioso, i cui rami si protendevano in alto, cercando di raggiungere il cielo. Col tempo il suo tronco era stato ricoperto dalle tenaci e capricciose foglie di un’ edera, anche loro desiderose di raggiungere le nuvole per lasciarsi da queste trasportare lontano, sempre più lontano.
Vicino al tronco, altri arbusti legnosi erano nati nel sottobosco e, complice l’umidità del posto, erano cresciuti adagio diventando alberi dai tronchi sottili. Fra questi ve ne era uno più esile degli altri che ogni giorno si specchiava nell’acqua. Questi, però, osservando le “differenze” fra il proprio tronco e la propria fronda e quelli del vicino, diventava ogni giorno più triste: erano alberi entrambi ma erano così diversi… Ogni giorno l’alberello si domandava, guardando l’ombra del suo vicino sull’acqua, se mai sarebbe riuscito a diventare, col tempo, forte e robusto come lui.
Un giorno, però, il cielo si oscurò improvvisamente ed un violento temporale si abbatté su tutta la zona: il vento soffiava forte e disperdeva nel cielo tutte le foglie che trovava sul suo cammino, scuoteva i rami degli alberi più alti e piegava gli arbusti più esili, l’alberello ebbe tanta paura. Poi un lampo!
Un fulmine lo colpì, recise la sua giovane fronda, lasciandolo nudo e in balia del fuoco. La pioggia generosa spense subito le fiamme ma, al tempo stesso, la corrente del fiume in piena trascinò contro il suo tronco dei detriti che quasi lo abbatterono.
Lui ripiegò il capo sconfitto: presto la corrente lo avrebbe trascinato via, come gli altri tronchi che vedeva scivolare veloci sotto ai suoi occhi.

Ma il grande albero ricoperto di edera che stava accanto a lui, gli offrì il suo aiuto e gli disse: “Appoggiati pure al mio tronco, io ti sorreggerò, ti difenderò dal vento e ti aiuterò a rinascere. E così fu: l’alberello sfinito e senza più una foglia, appoggiò il suo esile tronco al grande albero.
Arrivò la primavera, poi l’estate e poi di nuovo l’autunno e l’inverno… quindi ancora la primavera . Col trascorrere delle stagioni il piccolo tronco crebbe e, fattosi ben robusto, pian piano diede vita a tanti rami che ogni primavera mettevano su foglie nuove, brulicanti di vita. Certo, vi furono altri temporali ed altre piene del fiume ma ormai il nuovo “grande” albero era al sicuro, e poi il suo amico gli stava accanto e, a meno che non fosse arrivata la mano devastatrice degli umani, loro non correvano più rischi. Oggi li puoi vedere ancora lì i due amici, l’uno accanto all’altro, sorridere ad ogni nuova piena del fiume.
*foto di copertina di Dino Sibilia.