Di Daniela Giuffrida
Quando incontri un Uomo per bene, difficilmente te ne dimentichi ma quando egli va via, la memoria si fa crudele e fa sì che di quell’incontro non ti scordi mai più.
Tanti anni fa ho conosciuto un ragazzo, un giovane volontario entrato in Croce Rossa quando io vi ero già da un po’ di tempo. Era un ragazzo gentile dal sorriso un po’ timido che quella prima sera, salutandomi mi porse la mano, mi sorrise e si presentò. Mi sembrò strana questa cosa, la goliardia che imperava in quella Centrale operativa non favoriva certamente un gesto tanto delicato fra colleghi.
Io gli sorrisi e mi presentai anch’io, restammo un attimo a guardarci, poi, quasi come a smorzare quel momento, gli domandai: “Gagliano, sei mica parente del preside Gagliano?” lui mi rispose di sì. Fu così che cominciammo a chiacchierare: io gli raccontavo aneddoti vissuti col buon Claudio quando era ancora mio professore di matematica e lui rideva. Fu simpatia immediata. Purtroppo facevamo turni diversi e così ci si incontrava solo il sabato sera prima che lui prendesse servizio ma, ogni volta, il suo sorriso nel vedermi mi riempiva di gioia: era così pulito quel sorriso, pulito e gentile, da persona per bene.
Poi non lo incontrai più, mi dissero che era entrato nell’Arma e ne fui contenta ma mi dispiacque tanto non averlo salutato, non avergli augurato tutto il bene possibile. Erano trascorsi diversi anni quando una sera ricevetti la sua telefonata e, sebbene molto sorpresa, fui davvero felice di sentirlo. Mi disse che mi aveva chiamata perché aveva un po’ nostalgia dei tempi andati, mi disse che ero fra le poche persone conosciute a quel tempo che lui amasse ricordare. Parlammo a lungo, come fanno vecchi amici che hanno tanto da raccontarsi e, inevitabilmente finimmo col parlare di Croce Rossa.
Mi raccontò come era stato il suo essere volontario e quanta amarezza avesse provato, anni dopo, nel vedersi rifiutata – da quella stessa Centrale operativa presso la quale aveva trascorso tante notti – un’ambulanza per la madre. Io lo consolai raccontandogli di quanto poco fossero “contati” i miei 30 anni di servizio, quando di quella ambulanza aveva avuto bisogno mio padre morente. Ci scherzammo su un po’, cercando di sdrammatizzare e minimizzare quei due fatti tanto gravi che ci erano capitati e che ad entrambi tanta delusione avevano arrecato: era chiaro, in quel nostro discorrere, che la “nostra” Croce Rossa forse era esistita solo nella nostra fantasia e in quella di pochi altri, tutti giovani e convinti di poter cambiare il mondo e il destino degli ultimi, dei più fragili.
Sì, quella telefonata durò a lungo, toccò note importanti. Entrambi eravamo consapevoli che, in fondo, non eravamo poi così cambiati da quel nostro primo incontro: entrambi, sebbene attraverso strade diverse, avevamo sempre operato per una società più giusta, lui con il suo professionale adoperarsi contro il malaffare, io con le mie inchieste-denuncia. Chiudemmo la telefonata con la promessa reciproca di risentirci ancora, di rivederci non appena fosse venuto in Sicilia.
Ma la vita decide per noi e ogni cosa va come deve andare: i mesi, gli anni scorrono via senza che tu ti renda conto e così io quel ragazzino timido e gentile, divenuto un Uomo per bene, non l’ho più risentito, né rivisto.
Ora che lui se n’è andato a me restano soltanto un grande dolore, l’amarezza di un altro suo saluto mancato e il grande onore e la gioia di averlo conosciuto.
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